LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  promossa  in
 appello  con  citazione  di appello notificata in data 17 e 19 luglio
 1993 dal comune di Venezia, in persona del sindaco pro-tempore, con i
 proc.  dom. in Venezia avv.ti Giulio Gidoni e  M.  Maddalena  Morino,
 dr.  proc.  Maurizio Ballarin, per mandato in margine della citazione
 di appello, appellante, contro Vittoria Noli, in  qualita'  di  erede
 dell'avv.    Carlo  Buttaro,  col  proc.  dom.  in Venezia avv. Ivone
 Cacciavillani e col patrocinio dell'avv. Primo Michielan del foro  di
 Treviso per mandato in margine della comparsa di risposta in appello,
 appellata, appellante incidentale.
   Oggetto:  riforma  della  sentenza  n.  638/1992, emessa in data 13
 febbraio 1992-18 giugno 1992 dal tribunale di Venezia.
   In punto: Risarcimento danni da accessione invertita.
   Causa trattata all'udienza del 5 marzo 1996.
                       Svolgimento del processo
   Con citazione notificata  in  data  1  agosto  1984  Carlo  Buttaro
 esponeva:
     di  essere  proprietario  di  beni  immobili  siti  nel comune di
 Pellestrina;
     che una parte di tali beni era stata occupata - per la costuzione
 di alloggi di edilizia pubblica - e il comune di Venezia su  di  essi
 aveva  attuato  opere,  cosi'  che  si  erano  verificati gli estremi
 dell'accessione invertita;
     che gli atti   amministrativi, a seguito dei  quali  erano  state
 eseguite  le  opere, erano stati annullati dal Consiglio di Stato con
 decisione n. 202/1984, emessa in data 5 luglio  1983-2  aprile  1984,
 della quale depositava copia;
     che   non  tutta  la  superficie  occupata  era  necessaria  alla
 costruzione   delle   opere,   cosi'   che   egli   aveva   interesse
 all'accertamento  dell'area  che  poteva  essere  lasciata  nella sua
 disponibilita';
     che dall'avvenuta occupazione  erano  derivati  danni  dei  quali
 intendeva essere risarcito.
   Chiedeva,  pertanto, che l'adito tribunale di Venezia - determinata
 l'area di proprieta' di esso attore  di  cui  il  comune  di  Venezia
 avesse  acquistato  la  proprieta'  per  effetto  dell'occupazione  -
 condannasse detto ente sia a lasciare  nella  disponibilita'  di  lui
 l'area   non   oggetto   del   trasferimento  di  proprieta'  sia  al
 risarcimento dei danni.
   Si costituiva il comune di Venezia e sosteneva  che  essendo  state
 gia'  realizzate  le opere pubbliche, si era verificata l'"accessione
 invertita" della proprieta'; chiedeva che fosse  accertato  il  danno
 subito dall'attore e che fosse respinta la domanda di restituzione di
 una parte dell'area.
   Con sentenza non definitiva in data 27 ottobre 1988 il tribunale di
 Venezia  accertava  l'irreversibile  trasformazione  di  mq.  438 del
 mappale 242 del foglio  n.  4,  comune  di  Venezia-Pellestrina,  per
 effetto dell'esecuzione di opera pubblica e il corrispondente diritto
 dell'attore  al  risarcimento  del  danno nei confronti del comune di
 Venezia per la  perdita  delle  proprieta'  della  predetta  porzione
 immobiliare;  con  separata  ordinanza  disponeva  c.t.u..  Espletato
 l'accertamento tecnico, con sentenza n. 638/1992, emessa in  data  13
 febbraio-18  giugno  1992, il tribunale di Venezia cosi' statuiva: 1)
 il mappale  242  del  foglio  n.  4,  comune  di  Venezia-Pellestrina
 risultava essere stato occupato dal comune - su complessivi mq. 530 -
 per  mq. 438, destinati a impianti tecnologici e a zona di rispetto e
 pertinenza di un fabbricato; 2) all'attore spettava  il  risarcimento
 del  danno per la perdita di proprieta' della porzione occupata e per
 la perdita di valore della residua porzione di mq. 92; 3)  nulla  era
 dovuto   per   l'asserita   perdita   di  panoramicita';  4)  per  la
 liquidazione  dovevasi  tener  conto  dei  valori  come   individuati
 nell'elaborato tecnico depositato in data 22 dicembre 1989 e cioe' L.
 108.616.000  per la porzione di mq. 438 e L. 3.866.000 per la perdita
 di valore della residua porzione:   tali  valori  corrispondevano  al
 prezzo di mercato dell'area "in base alla classificazione urbanistica
 valida   al   tempo   dell'occupazione,   che  in  virtu'  del  piano
 particolareggiato  la  definiva  destinata  in  parte   ad   edilizia
 residenziale   e   in   parte   a   pensioni   e  piccoli  alberghi".
 Conseguentemente il primo giudice condannava il comune di  Venezia  a
 risarcire  al  Buttaro  il  danno  nella  misura  di  L.  112.482.000
 rivalutata alla data della sentenza in L. 127.000.000.
   Avverso tale decisione ha proposto appello principale il comune  di
 Venezia, censurando: a) il riconoscimento della diminuzione di valore
 della  porzione  residua;  b)  il  recepimento,  da  parte  del primo
 giudice, dei  valori  indicati  dal  c.t.u.,  senza  compiere  alcuna
 verifica  sulla  loro  fondatezza, quantunque l'esperto abbia operato
 una stima  sintetico-comparativa  fondata    non  su  dati  obiettivi
 (contratti   di  compravendita  di  immobili  aventi  caratteristiche
 simili), ma su personali conoscenze e su "voci" raccolte  nell'isola,
 pervenendo  a  determinare  prezzi  di  mercato eccessivi, come se si
 trattasse degli "... unici metri quadrati edificabili"; c)  il  fatto
 che  il  tribunale  non abbia tenuto conto che l'area di cui e' causa
 "... non possedeva capacita' autonoma di edificazione, anche  se  era
 collocata  in una zona destinata alla nuova edificazione, perche' gli
 interventi erano, e sono  subordinati  alla  formazione  di  progetti
 planovolumetrici unitari, d'iniziativa comunale".
   A  sua  volta  l'appellata  Vittoria  Noli,  erede  del Buttaro, ha
 chiesto il  rigetto  dell'appello  principale  e  ha  svolto  appello
 incidentale,  lamentando  che  il tribunale abbia negato sia il danno
 per diminuita "panoramicita'" sia la natura di "reliquato"  dell'area
 di mq. 92.
   La  causa  e'  stata trattenuta per la decisione nell'udienza del 5
 marzo 1996.
                        Motivi della decisione
   Nell'impugnata sentenza il tribunale come si e' sopra  esposto,  ha
 recepito e fatto proprio il rilievo contenuto nella relazione redatta
 dall'ing.   Mondelli,   cioe'  che  l'area  oggetto  dell'occupazione
 acquisitiva della proprieta' era stata destinata in parte a  edilizia
 residenziale in parte a pensioni e piccoli alberghi.
   Tale  statuizione  del  tribunale  non e' stata oggetto di gravame:
 invero sia  nella citazione di appello sia nella comparsa di risposta
 redatta   nell'interesse   dell'appellata   le   parti   hanno   dato
 pacificamente atto che l'area oggetto dell'illegittima occupazione da
 parte  della p.a. e' edificabile; il comune in particolare, nel passo
 della citazione di appello sopra riportato sub c) ha  dato  atto  che
 l'area,  del  cui  valore  si  controverte, era collocata in una zona
 destinata all'edificazione, contestando i valori espressi dal  c.t.u.
 non in considerazione della natura dell'area, bensi' sotto il profilo
 della  non corretta applicazione del metodo sintetico comparativo. Le
 parti  hanno  poi   ribadito   tale   valutazione,   riguardante   la
 destinazione   edificatoria   del  bene,  nelle  rispettive  comparse
 conclusionali, richiamando entrambe norme  pacificamente  applicabili
 solo  alle  "aree edificabili" (cfr. il primo comma dell'art.  5-bis,
 legge n. 359/1992): infatti, mentre l'appellante ha chiesto che venga
 disposta  c.t.u.   per   la   rideterminazione   dell'ammontare   del
 risarcimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, comma 65,
 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 e 5-bis della legge 8 agosto 1992
 n.  359,  l'appellata  ha  sollevato  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale del predetto comma 65.
   Conseguentemente  puo'  essere  ritenuto che formi giudicato tra le
 parti  l'accertamento,  compiuto  dal   tribunale,   sulla   qualita'
 edificabile dell'area di cui e' causa.
   E'  altrettanto pacifico tra le parti e risulta dalla c.t.u redatta
 dall'ing Mondelli che mq. 438, facenti parte di un mappale di 530 mq,
 in quanto area di rispetto di  un  insieme  di  costruzioni  eseguite
 nell'ambito  di  un piano per l'edilizia economica e popolare, per la
 cui attuazione sono stati emessi atti  amministrativi  annullati  dal
 giudice  amministrativo,  sono stati oggetto di accessione invertita.
 Tale fattispecie viene definita - da costante giurisprudenza -  fatto
 illecito:  si  vedano,  per  tutte,  Cass. 13 settembre 1993 n. 9487,
 Cass. 10 luglio 1991 n. 7645 e Cass. 4 giugno 1991 n. 6322; anche  la
 Corte  costituzionale, nella sentenza 17-23 maggio 1995 n. 188, cosi'
 si  esprime:  "...questa  "perdita"  e'  l'evento  che,   in   quella
 ricostruzione,   si  pone  in  rapporto  di  causalita'  diretta  con
 l'illecito della pubblica amministrazione (la sottolineatura e' stata
 aggiunta).
   Pertanto, ai fini della misura del risarcimento e  ferme  tutte  le
 altre  questioni  tra  le  parti,  appare evidente la rilevanza della
 verifica di  costituzionalita'  delle  disposizioni  sopra  indicate:
 infatti,  mentre  prima  dell'entrata  in vigore del predetto art. 1,
 comma 65, il risarcimento doveva essere quantificato in  misura  pari
 al   valore   venale  del  bene  oggetto  dell'accessione  invertita,
 attualmente  quest'ultimo  va  fissato  nella  piu'  ridotta   misura
 derivante  dall'applicazione  dei parametri indicati nell'art. 5-bis,
 legge n. 359/1992.
   Cio' premesso, ritiene  il  collegio  che  le  disposizioni  citate
 sembrano  porsi in violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto un
 duplice profilo.
   In  primo  luogo,  infatti,  esse  introducono  una  disparita'  di
 trattamento tra il titolare della proprieta' o di altro diritto reale
 che  subisca la privazione o una limitazione dello stesso per effetto
 di un fatto illecito compiuto da altro soggetto privato, da un  lato,
 e  altro  titolare  che  debba  sopportare  le conseguenze della c.d.
 accessione invertita, della cui natura di illecito si e' sopra detto,
 solo perche' compiuto dalla pubblica amministrazione, dall'altro.
   Va, in secondo luogo, osservato quanto segue.  L'art.  5-bis  della
 legge   n.   359/1992   dispone,   nel  primo  comma,  che  l'importo
 dell'indennita' di  espropriazione  -  determinato  nella  media  tra
 valore venale del bene e reddito dominicale rivalutato - debba essere
 ridotto  nella  misura del 40 per cento; nel successivo secondo comma
 e' previsto che qualora, in ogni fase del procedimento espropriativo,
 il soggetto espropriato convenga la  cessione  volontaria  del  bene,
 tale  riduzione  del  40% non si applica. Ora e' noto che la cessione
 volontaria e' regolata dall'art. 12 della legge 22  ottobre  1971  n.
 865,  nell'ambito  del  procedimento  disciplinato  da  tale legge, e
 presuppone  -  tra   l'altro   -   sia   la   previa   determinazione
 dell'indennita'  provvisoria,  alla cui misura va riportato il prezzo
 della cessione volontaria, sia la comunicazione di tale indennita' da
 parte del  presidente  della  Giunta  regionale:  in  conclusione  la
 cessione  volontaria  e'  possibile  solo nell'ambito di un legittimo
 procedimento di espropriazione.  Per converso la cessione  volontaria
 non  appare  attuabile  in caso di accessione invertita, poiche' tale
 fattispecie si verifica quando gli atti amministrativi, che  come  si
 e'  detto costituiscono i presupposti logico-giuridici della cessione
 volontaria,  non  siano  stati  emessi,  ovvero  quando  siano  stati
 annullati.
   Premesso  quanto  sopra,  pare  a questo collegio che la previsione
 della determinazione del danno, ai sensi dell'art. 5-bis,  anche  nel
 caso  di  fatto  illecito  della  p.a.,  comporti,  in  assenza della
 possibilita' della cessione volontaria,  l'inapplicabilita'  in  ogni
 caso   della   riduzione   del   40%.  Il  proprietario  che  subisce
 l'accessione invertita, quindi, a differenza di quanto accade in caso
 di espropriazione, non puo' compiere alcuna attivita' per evitare  la
 riduzione  del  40%  e,  quindi,  si  trova  in  una  situazione piu'
 sfavorevole rispetto a  chi  subisce  un  legittimo  procedimento  di
 esproprio,   senza   che   la   disparita'   di   trattamento  tragga
 giustificazione da un criterio di ragionevolezza, essendo  causata  -
 al contrario - da un fatto illecito della p.a.
   Sotto  un  ulteriore profilo le disposizioni dell'art. 1, comma 65,
 della legge n. 549/1995 e dell'art. 5-bis della legge n. 359/1992  si
 pongono  in  violazione  del  diritto  di proprieta' nei limiti della
 tutela apprestata dall'art. 42 Cost.
   Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, con  sentenza
 16  giugno  1993 n. 203, ha dichiarato legittimo l'art. 5-bis citato,
 osservando tra l'altro che il bilanciamento tra interesse pubblico  e
 interesse   privato   non   puo'   fissarsi  in  un  rigido  criterio
 quantitativo, ma risente "dello specifico che connota il procedimento
 espopriativo, non essendo il legislatore vincolato ad individuare  un
 unico  criterio  di  determinazione  dell'indennita',  valido in ogni
 fattispecie espropriativa".   La Corte ha ribadito  che  deve  essere
 ritenuta  la legittimita' dell'indennita' di esproprio, in misura non
 meramente simbolica o irrisoria, ma sufficiente e congrua, nel  senso
 che  tale  indennita'  deve esprimersi "il massimo di contributo e di
 ripartizione che nell'ambito degli scopi  di  generale  interesse  la
 pubblica   amministrazione  puo'  garantire  all'interesse  privato".
 Esprimendo tali argomenti, la Corte ha ritenuto legittimo  il  citato
 art.  5-bis in considerazione degli interessi pubblici perseguiti con
 il procedimento espropriativo. Ora, poiche'  un  valido  procedimento
 espropriativo  presuppone,  tra  l'altro,  l'esistenza della pubblica
 utilita', la quale a sua volta va individuata - nel caso  concreto  -
 in  presenza di un atto amministrativo valido che l'abbia dichiarata,
 ne  consegue   che   nel   caso   del   fatto   illecito   costituito
 dall'accessione  invertita,  viene  meno  l'indicato  presupposto che
 rende legittima - secondo gli argomenti espressi  dalla  Corte  -  la
 corresponsione  di  un ristoro non ragguagliato al valore che il bene
 aveva  nel  momento  del  verificarsi   dell'illecito.   L'erogazione
 dell'indennita'  determinata  ai  sensi  dell'art.  5-bis si risolve,
 pertanto,  nel  caso  dell'accessione  invertita,  in  un   ulteriore
 sacrificio  della  proprieta'  privata,  al di fuori delle ipotesi di
 esproprio di cui al terzo comma dell'art.  42 Cost. e alla  pronunzia
 della Corte costituzionale sopra richiamata.
   Gli  argomenti  sopra espressi sembrano al collegio sufficienti per
 ritenere non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
 costituzionale delle disposizioni sopra richiamate, in relazione agli
 artt. 3 e 42 Cost.
   Gli  atti vanno, pertanto, rimessi alla Corte costituzionale per le
 statuizioni di sua competenza, con i connessi adempimenti di  cui  in
 dispositivo.